L’autolesionismo nei disturbi alimentari si spiega con una storia traumatica
La violenza sessuale e/o fisica subita durante l’infanzia viene riportata da un numero consistente di donne affette da disturbi alimentari. E la percentuale sembra essere più alta nelle pazienti con sintomi bulimici rispetto a quelle con anoressia di tipo restrittivo.
Nelle pazienti con un disturbo alimentare e una storia di trauma psichico, secondo J.Vanderlinden e W.Vandereycken (Le origini traumatiche dei disturbi alimentari, 1998), il problema centrale sembra essere quello di non riuscire a controllare l’impulso a compiere azioni dannose verso se stesse.
La funzione e il significato del comportamento autolesionistico delle donne con disturbi alimentari, può essere diverso da caso a caso, e va sempre ricercato insieme.
I molteplici significati dell’autolesionismo
A volte l’elemento che rinforza l’autolesionismo è il rilassamento in una forma di abreazione diretta. Si tratta di uno scarico delle emozioni e delle sensazioni negative.
Più indirettamente, l’autolesionismo può essere anche usato come mezzo per sviare la propria attenzione da uno stato emotivo penoso, preferendo un dolore più controllabile in quanto autoindotto.
Un altro meccanismo di fuga in un momento di alta tensione emotiva, può essere quello di ricorrere all’autolesionismo per indurre certe forme di esperienza dissociativa o di stato simile alla trance. Dissociandosi dal momento presente, si sente meno la sofferenza che immagini e ricordi possono evocare.
Oppure, viceversa, un’intensa stimolazione fisica (la sensazione di dolore o la vista del sangue), permette di fuggire da uno stato di dissociazione. Specialmente fuggire dalla depersonalizzazione, che è uno stato di alterazione della coscienza che induce spavento.
Un’altra possibile funzione cui può assolvere l’autolesionismo volontario può essere quella di attirare l’attenzione di persone percepite come significative, con la messa in atto di comportamenti estremi.
O ancora l’autolesionismo può costituisce una forma di punizione che le pazienti sentono di meritare, perché si sentono deboli e indisciplinate (per es. le abbuffate sono considerate un segno di mancanza di volontà), o per il senso di colpa che spesso si riscontra nelle donne con una storia di violenze subite.
Infine l’autolesionismo può anche riflettere una tendenza all’autodistruttività connessa a un’immagine di sé negativa. Per alcune l’autolesionismo si avvicina ad un gesto suicida per altre può essere un modo per diventare fisicamente meno attraente.
Occorre aver presente che in una stessa persona diverse forme di autolesionismo possono avere la stessa funzione, ma potrebbe darsi anche l’opposto. Vale a dire, la stessa automutilazione ripetitiva può avere significati differenti in momenti diversi.
Bibliografia
L’origine traumatica dei disturbi alimentari. J. Van Der Linden, Astrolabio, 1998